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Uno sguardo alla politica estera dell’Italia

L’Italia, come tutti i paesi europei, è profondamente coinvolta nello scenario bellico che ora ha il suo epicentro in Ucraina. Tale conflitto si situa nel quadro più ampio della Terza Guerra Mondiale, una fase che si apre nel 1989 con il crollo del muro di Berlino e lo sgretolamento del blocco sovietico e che si sviluppa a partire dal Medio Oriente. In particolare, tutti i conflitti che si sono sviluppati in quest’area, a partire dalle Guerre del Golfo, hanno generato un rimodellamento degli equilibri tra i blocchi imperialisti statunitense e sovietico verso un ordine mondiale multipolare, con l’ascesa della potenza cinese, che vede contrapposte due modalità opposte di governance, quella nazionalistica e quella globalista. L’Italia, pur avendo un peso politico molto limitato in questo scenario, mantiene il ruolo strategico che ha assunto fin dalla Seconda Guerra Mondiale per la sua pozione geografica al centro del Mediterraneo, anzi, del cosiddetto Mediterraneo allargato, ossia quell’area che connette l’Europa all’Africa settentrionale fino, appunto, al Medio Oriente. Tale area è infatti attraversata da una serie di connessioni politiche, economiche, geostrategiche all’interno delle quali l’Italia sta cercando di ritagliarsi il proprio posto.

 

Innanzitutto, il Medio Oriente è un’area centrale per l’accaparramento delle risorse che vengono trasportate per tutto il mediterraneo connettendosi ad una rete di collegamento che comprende anche diversi hub che partono dall’Africa del nord, dove l’Italia sta dirigendo i suoi interessi. In particolare, è l’Algeria il maggior importatore di gas verso l’Italia, che ha aumentato il suo approvvigionamento dell’11%, per arrivare al 34% delle importazioni, da quando sono stati bloccati i rifornimenti russi. Ma il molok dell’energia italiano Eni estrae il maggior volume delle sue risorse in Egitto, ignorando completamente la brutalità del regime di Al-Sisi, e in Iraq. L’Iraq infatti, oltre ad essere il quarto produttore di petrolio al mondo, sta anche espandendo il mercato del gas che ha tuttavia bisogno di tutta una serie di infrastrutture per essere convogliato verso l’Europa e dunque ha tutto l’interesse ad appoggiarsi a grandi compagnie industriali estere, come appunto quelle italiane. Ma le infrastrutture energetiche non disegnano solo reti logistiche, ma definiscono anche l’intensificarsi di relazioni diplomatiche e del controllo militare dei territori, in particolare dei siti di estrazione.

 

L’Italia ha benissimo compreso i vantaggi che le derivano dall’essere il paese europeo “di arrivo” della maggior parte delle infrastrutture energetiche che partono dal Medio Oriente, come il gasdotto TAP che parte dall’Azerbaijan passando per la Turchia o il progetto EastMed che sarebbe una rete sottomarina che partirebbe da Israele per passare per Cipro, Creta e la Grecia fino ad attaccarsi in Puglia, e dall’Africa settentrionale attraverso il traffico marittimo fatto di metaniere e rigassificatori. È questa infatti la strategia che sta dietro al Piano Mattei, ossia una serie di piani strategici e militari verso l’Africa, in particolare verso i paesi del passato coloniale italiano, in primis l’Etiopia, e verso i paesi del Sahel. Si tratta di accordi di natura diplomatica che sbandierano intenti umanitari, ma che puntano innanzitutto a rafforzare la collaborazione con questi Stati per l’implementazione del controllo militare del territorio, della sicurizzazione e della repressione con l’obiettivo di bloccare i flussi migratori affinché non provochino pressione sulle aree settentrionali dove si trovano i siti estrattivi, dove tutti hanno interesse a mantenere l’ordine e la stabilità politica a garanzia dell’attività economica. Dunque, l’area con la massima presenza di contingenti militari italiani all’estero è appunto l’Africa, con 6.902 militari impiegati in missioni che comprendono 32 paesi, anche con l’obiettivo di contenere la penetrazione africana di Russia e Cina.  In questo modo, la politica estera italiana interpreta un ruolo decisivo nel quadro della politica internazionale delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea di accelerare ulteriormente il processo di esternalizzazione delle frontiere della “fortezza Europa”, spinte ormai fino all’Africa centrale.

 

Infatti questo scenario è del tutto coerente con la trasformazione dell’indirizzo della NATO, che da alleanza difensiva all’inizio degli anni 2000 inizia un percorso di ridefinizione dei principi fondativi, trasformandosi in un’alleanza con l’obiettivo di difendere i propri interessi anche attraverso la “prevenzione” e la “gestione” di crisi anche in paesi esterni all’alleanza: in sostanza, l’esercito diventa uno strumento di politica estera finalizzato alla difesa delle linee di rifornimento energetico. 

 

Il ruolo dell’Italia, definito in modo ancora più chiara dall’accelerazione che la Terza Guerra Mondiale ha avuto in Europa in seguito al conflitto in Europa, è quella di essere un ponte tra il Medio Oriente, l’Europa e l’Africa, rispondendo agli interessi sia della NATO, che porta avanti la sua strategia attraverso alleanze flessibili al fine di contrastare Russia e Cina, sia dell’Unione Europea, la quale, soprattutto sotto pressione della Francia, sta cercando di delineare un propria politica il quanto più possibile autonoma dai blocchi per provare a giocare anch’essa una parte nell’ordine multipolare globale, innanzitutto con la prospettiva di costituire un esercito europeo di cui il famigerato progetto Frontex non è che una prima sperimentazione.

Sitografia

 

 

 

 

 

Come la NATO sta alimentando una nuova corsa agli armamenti da ben prima della guerra in Ucraina: il caso di Torino, della Città dell’Aerospazio e di DIANA.

Era il 2018 quando si è iniziato a discutere della costruzione di una nuova Città dell’Aerospazio a Torino. Si tratta di uno dei dossier chiave per il futuro sviluppo industriale della città, ma si potrebbe parlare anche di una vera e propria riconversione della catena del valore che attraversa il capoluogo piemontese. Le grandi operazioni di trasformazione urbana a Torino negli ultimi anni sono state sempre più aggressive, soprattutto nelle zone più povere della città, ma questo progetto non può essere letto come una semplice operazione di riqualificazione, come vorrebbe far credere il Comune. E ciò emerge chiaramente dall’elenco degli attori interessati a questa enorme infrastruttura che sorgerà sul vecchio polo industriale sito tra corso Marche e corso Francia.

In prima linea troviamo, come chiarisce il progetto diffuso dal sito del Comune,la Regione Piemonte, primo soggetto finanziatore con circa 50 milioni di euro:il piano originario che contemplava l’investimento di un miliardo di euro per il rilancio del Piemonte non è andato in porto dopo la mancata assegnazione dei finanziamenti attesi dal Pnrr.È da decenni ormai che i principali attori pubblici del territorio cercano di individuare una nuova immagine economica per la Torino post-Fiat, dalla Torino della Cultura alla Torino città universitaria, Torino del cibo, Torino del divertimento. Ma le città post-industriali come Torino non hanno i fondi necessari a una vera e propria riqualificazione e riconversione della filiera produttiva e del tessuto sociale ad essa connessa, dunque devono attrarre capitali e investimenti avviando processi di privatizzazione di interi segmenti di città, ad esempio costruendo studentati privati o disponendo grandi aree per enormi Fiere ed esposizioni internazionali. Le istituzioni pubbliche, inoltre, cercano per quanto possibile di partecipare a grandi bandi lanciati da enti internazionali, come l’Unione Europea, che garantiscono grandi finanziamenti e la creazione di “bolle” economiche e finanziarie che spesso e volentieri non hanno nessuna ricaduta positiva sulla vita dei cittadini di quel territorio. E Torino con la Città dell’Aerospazio si sta muovendo proprio in questa direzione: l’aerospazio e la filiera dei saperi e della produzione ad essa connessa sarà il nuovo campo di investimento strategico per la riconversione di vecchi siti industriali, proprio come l’area Ex-Alenia, sita tra corso Marche e Corso Francia.

La prima tappa per la costruzione dell’enorme centro è rappresentata dall’Edificio 37, quello che sarà destinato alle infrastrutture per trasferire le tecnologie e le attività di ricerca, nel quale verranno collocati i laboratori congiunti del Politecnico con Avio, Thales Alenia Space e Leonardo. Sì, perché, dicono loro, “facendo leva sulla cooperazione tra Leonardo e il Politecnico di Torino, si creerà un ecosistema interconnesso dove coesistono l’Accademia (Formazione Universitaria e ITS), la Ricerca e i Laboratori di Sviluppo Tecnologico, le start-up e le PMI (piccole e medie imprese), la Grande Impresa”. In questa prima area confluiranno le risorse del Politecnico, derivanti dal Pnrr, e i 15 milioni messi a disposizione della Regione Piemonte. Il secondo edificio che sarà realizzato è il numero 27, la vera e propria Casa delle imprese, in cui si inseriranno varie aziende e le aule destinate all’attività didattica. Terzo passaggio sarà quello sullo Space Center in capo ad Altec, di proprietà di Agenzia Spaziale Italiana e Thales Alenia Space.

Il cantiere che dovrebbe avviare la ristrutturazione degli impianti di corso Marche dovrebbe partire a giugno 2023 e i lavori saranno finanziati dalla Regione, dal Mise (Ministero delle imprese) e dalla Camera di Commercio. Ma laddove il pubblico non è riuscito ad arrivare nello scorso anno a causa della complessità e delle lungaggini burocratiche, ecco che le grandi aziende scendono in campo.
Alla fine dell’estate scorsa, il gruppo Leonardo, proprietario di buona parte dell’area Ex-Alenia, si incarica di prendere il mano la situazione e di risolvere gli impasse burocratici e finanziari, mettendo a gara 110mila metri quadrati dell’area in questione per il progetto: in sostanza stiamo parlando di un appalto che l’azienda privata sta bandendo perché il pubblico le costruisca le infrastrutture, aprendo altri appalti per altre aziende private che faranno effettivamente i lavori. In questo piano di impianto infrastrutturale, il Tav viene considerato un tassello indispensabile, che “si farà”, loro dicono, per gestire il flusso di merci via treno, in particolare intorno all’aerea di Orbassano che da tempo si candida per la costruzione dell’Interporto.
Dunque, Leonardo che si propone come attore di facilitazione sul piano logistico per l’avviamento dei lavori e di questo grande circuito di miliardi in cui sembra ci possano mangiare proprio tutti, ma non solo, perché un progetto simile non può non avere una ben solida copertura politica. L’inaffidabilità delle promesse di ormai quasi due anni fa espresse dal governatore Cirio nel corso dell’Aerospace&Defence Meeting di Torino non ha creato alcun problema dal momento in cui Guido Crosetto, ex-presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (AIAD), è diventato Ministro della Difesa del governo Meloni lo scorso settembre.

Dunque, è Leonardo che si sta ponendo in prima linea per la realizzazione di questo progetto, sfruttando ogni suo braccio, quello logistico, quello politico e anche quello “geostrategico”. Infatti, poco più di due anni fa Leonardo ha creato Med-Or, fondazione con l’obiettivo di promuovere attività “culturali, di ricerca e di formazione scientifica” tra l’Italia e i paesi del Mediterraneo allargato fino al Sahel, Corno d’Africa e Mar Rosso e del Medio ed Estremo Oriente, al fine di rafforzare gli accordi politici, i rapporti internazionali e gli scambi, ossia di gestire sicurezza e flussi economici ed infrastrutturali nell’aerea.

Alla luce della ruolo strategico che gioca Leonardo nell’influenzare le politiche estere dei paesi del Mediterraneo e in particolare dell’Italia è chiaro il motivo dell’elezione di Torino, nel giugno del 2022, a pochi mesi dallo scoppio della guerra in Ucraina, a sede europea della futura struttura del Defence innovation accelerator for the North Atlantic (DIANA), che avrà sede a partire da quest’anno all’interno delle Officine Grandi Riparazioni, in attesa della costruzione della Città dell’aerospazio.
Questo progetto, partito nel giugno 2021 a Bruxelles, si inserisce nel programmi di innovazione tecnologica della NATO per il 2030. Compito del polo di Torino sarà quello di coordinare e gestire, attraverso bandi e fondi messi a disposizione dai Paesi alleati, la rete delle aziende e degli acceleratori di tecnologia italiani, per metterli a servizio delle necessità dell’Alleanza. La rete prevede due centri, uno negli Usa e uno in Europa, che hanno l’obiettivo di sostenere le start-up dedicate all’innovazione nello sviluppo degli armamenti e delle tecnologie militari.
Diana dovrà favorire lo scambio di innovazione e la collaborazione tra le due sponde dell’Atlantico. Ma anche il fluire di fondi verso i progetti considerati più interessanti e sensibili. Per fare questo, la Nato creerà una sorta di “marketplace affidabile e sicuro per mettere insieme startup e investitori privati e prevenire il trasferimento illecito di tecnologia militare”.
Si tratta per la Nato di assicurarsi sia in America del Nord che in Europa delle basi di sviluppo degli armamenti indipendente e autonomo in grado di assicurarle la supremazia bellica necessaria in questo scenario di guerra dilagante e che vede i nostri territori venir chiamati a prendere parte attiva all’accelerazione della catastrofe. Infatti, gli investimenti non saranno aperti a tutti gli operatori, ma ovviamente saranno bloccate le aziende legate a paesi fuori dalla Nato, per impedire che governi come quelli di Russia e Cina possano mettere le mani dentro l’ecosistema di innovazione militare che l’alleanza intende coltivare.
Come hanno denunciato varie realtà raccolte nella Rete Italiana per la Pace e il Disarmo,per la politica estera europea si tratta di un momento storico spartiacque in quanto, in risposta alla guerra in Ucraina, l’UE ha annunciato che avrebbe, per la prima volta, finanziato e fornito armi letali a un Paese sotto attacco nell’ambito della European Peace Facility (il cosiddetto fondo strutturale per le Pace). Anche se questa mossa è senza precedenti, non è inaspettata. L’UE si sta ritagliando un percorso militarista da alcuni anni. La tendenza può essere fatta risalire all’entrata in vigore del trattato di Lisbona nel 2009, che fornisce la base giuridica per creare una politica di sicurezza e difesa comune. Meno di un decennio dopo, l’UE, dando inizio ad una nuova fase, ha creato linee di bilancio che avrebbero specificamente assegnato finanziamenti a progetti militari. Questa decisione di cambiare rotta ha portato saldamente l’UE su un percorso nuovo e profondamente preoccupante dove i problemi politici e sociali vengono affrontati non attraverso il dialogo e la diplomazia, ma attraverso la guerra e il militarismo.

Sitografia

https://www.ilsole24ore.com/art/citta-dell-aerospazio-e-partito-countdown-prima-pietra-2023-AE3bGdHC

https://www.collettiva.it/copertine/italia/2022/06/01/news/torino_nasce_la_citta_dell_aerospazio_-2152794/

https://mole24.it/2022/07/02/lavori-cittadella-aerospazio-torino/

https://mole24.it/2023/01/03/torino-al-via-i-lavori-per-citta-dellaerospazio-e-mtcc/

https://torino.corriere.it/economia/22_settembre_27/houston-italiana-logistica-idrogeno-dossier-citta-il-nuovo-governo-c722ba8e-3e9a-11ed-a7d0-8fb77372b6c6.shtml

https://www.ecodellapista.it/al-via-lottava-edizione-di-aerospace-defense-meetings-unico-evento-internazionale-in-italia-dedicato-allindustria-aerospaziale/

http://www.comune.torino.it/cittagora/altre-notizie/una-mozione-propone-torino-sede-del-defence-innovation-accelerator-for-north-atlantic-della-nato.html#

https://www.spaceconomy360.it/politiche-spazio/aerospazio-budget-da-17-miliardi-per-il-prossimo-triennio/

https://www.cybersecitalia.it/torino-capitale-delle-startup-cyber-della-nato-la-citta-scelta-per-il-progetto-diana/18593/

https://retepacedisarmo.org/2022/accendere-le-fiamme-come-lunione-europea-sta-alimentando-una-nuova-corsa-agli-armamenti/

https://servizi.comune.torino.it/consiglio/prg/intranet/display.php?doc=A-A202100268:2589, p. 18.

https://torino.corriere.it/economia/22_settembre_27/houston-italiana-logistica-idrogeno-dossier-citta-il-nuovo-governo-c722ba8e-3e9a-11ed-a7d0-8fb77372b6c6.shtml

https://www.ilsole24ore.com/art/citta-dell-aerospazio-e-partito-countdown-prima-pietra-2023-AE3bGdHC

https://servizi.comune.torino.it/consiglio/prg/intranet/display.php?doc=A-A202100268:2589, p. 2.

Cos’è l’osservatorio?

L’osservatorio è inchiesta, è un archivio, è uno strumento di lotta, utile ad approfondire la comprensione delle dinamiche del conflitto mondiale, dei suoi fronti mutevoli e delle ricadute sui territori. Per questo la prospettiva dell’informazione, dello studio e dell’educazione è una prospettiva prioritaria. I luoghi della formazione, in primis le Università e i poli di ricerca, sono i nostri campi di indagine, perché sappiamo che nella filiera della guerra, le conoscenze tecniche e politiche sono un anello fondamentale della catena del valore.
Le nostre Università stringono tantissimi accordi con aziende e paesi direttamente coinvolti in conflitti e repressione in tutto il mondo, da chi dirige le politiche estere del nostro paese per ampliare i propri affari, come Leonardo s.p.a, a chi da decenni porta avanti politiche di occupazione, apartheid e pulizia etnica, come Israele e Turchia. Le nostre Università sono un campo strategico attraverso cui i nostri governi intavolano accordi ed alleanze e dove vengono delineate le direttive di sviluppo e investimento. Tuttavia, per la popolazione studentesca e ancora di più per la società civile è difficile non soltanto esprimersi in merito alla natura degli accordi, ma anche venire a sapere della loro esistenza, poiché per la maggior parte si tratta di accordi secretati. Dunque, fare inchiesta sull’operato dei consigli di dipartimento e del consiglio di amministrazione dell’Università è un’attività importante e necessaria.
L’osservatorio è perciò anche un archivio, un deposito di informazioni e di memoria storica delle ricerche portate avanti dal collettivo, cosicché chiunque possa conoscere questi dati e utilizzarli per ampliare e rafforzare le proprie lotte, a Torino come in altre parti del paese.
L’archivio è uno strumento che crediamo necessario in questo momento. Non sarà una pratica fine a se stessa, ma sarà sempre al servizio delle comunità per la difesa dei propri territori.

PROSPETTIVE

Le prospettive dell’osservatorio e della Rete Defend Kurdistan sono quelle di costruire un coordinamento di organizzazioni al fine di costituire un fronte compatto di opposizione alla guerra e di costruzione di un’alternativa concreta a partire dal nostro presente. 
Per questo, è necessario comprendere a fondo come questo conflitto globale corrisponda a una nuova fase di modifica dell’ordine mondiale multipolare. I nostri territori sono attraversati dai flussi generati da questa ristrutturazione, che si tratti di rotte migratorie, infrastrutture energetiche, direttive politiche per la fornitura di armamenti, catene globali della cura, violente ridefinizione di confini statali e nazionali.
Per questo è necessario che le nostre pratiche, analisi, ricerche comincino ad articolarsi e sistematizzarsi in maniera sempre più estesa e capillare, al fine di costruire questo orizzonte di alleanze che organizzi insieme il piano locale e internazionale. Per questo abbiamo bisogno di archivi e mappature, di connessioni, di organizzazione.